Google: qualità degli articoli più importante della quantità
Quanti articoli pubblicare ogni giorno? Questa è una domanda che sicuramente ogni editore o blogger si sarà posto almeno una volta e a cui, altrettanto certamente, nessuno ha saputo rispondere.
Certo, su questo argomento si è detto tutto e il contrario di tutto. Google predilige la quantità che (forse) aumenta la frequenza di visita del Googlebot. O ancora, Google premia la lunghezza degli articoli e quindi la loro presunta completezza.
Quindi è giusto porsi un numero, una quota di articoli che vanno messi online con una certa regolarità? Una risposta ci arriva da Google, tramite John Mueller, che in un thread del forum Google Webmaster Help chiarifica un po' la faccenda.
Non mi preoccuperei troppo dei tecnicismi - quanto potete scrivere su una certa quantità di argomenti - e invece mi concentrerei sul fatto che i contenuti che state creando siano davvero della più alta qualità possibile. Questo è qualcosa che non dovreste fare per i motori di ricerca, è qualcosa che dovreste già fare a prescindere. Di certo sapete già se un contenuto che state creando è povero o se è davvero rilevante, unico, di alta qualità e utile per gli utenti. Dovreste tutti cercare di produrre qualcosa di eccezionale - e dal mio punto di vista dovreste farlo indipendentemente da qualsiasi algoritmo (vero o presunto).
Quello che Google sembra suggerire, dunque, è che non dovremmo preoccuparci troppo della quantità ma quasi esclusivamente della qualità.
Detto questo, però, è anche vero che innumerevoli siti web si prefiggono delle quote di pubblicazione: un articolo al giorno, uno alla settimana, al mese o più di un contenuto ogni giorno.
Il porsi delle quantità minime serve spesso per organizzare il lavoro e, più spesso, per "quantificare" ciò che non è quantificabile. Ovvero il lavoro di un giornalista o redattore web.
Questo è un approccio certamente errato per un semplice motivo: un articolo esauriente, ben scritto e rilevante per i lettori è capace di "muovere" molto più traffico di 100 articoli poveri di contenuto.
E per scrivere qualcosa di davvero eccezionale occorrono ore, se non giorni.
Vero è che queste quote sono qualcosa di tipicamente umano e si applicano a diversi ambiti della vita di tutti i giorni. Non solo pezzi da scrivere ogni giorno ma anche il budget a disposizione per le spese mensili, i kg da perdere per tornare in forma, le ripetizioni degli esercizi in palestra e molto altro.
Quasi certamente anche Google ha delle linee guida a livello di spam e qualità che comportano delle quote ben precise.
La questione, però, è potenzialmente più complessa e coinvolge sia la SEO che altri interessi di Google.
Ovviamente il motore di ricerca predilige contenuti che non sono solo ricchi ma anche lunghi. Questo perché articoli più estesi hanno più spazio in cui inserire pubblicità.
Dal punto di vista di un editore/webmaster, dunque, l'approccio giusto sarebbe il produrre dei contenuti "lunghi" e ricchi.
A questo punto, però, è utile fare un passo indietro e mettersi nei panni del lettore, che sul web ha quasi sempre un comportamento "da parassita". Il che si traduce più o meno in "datemi quello che cerco il più velocemente possibile".
E, con questo approccio, un cybernauta non ha certamente voglia di scorrere una pagina infinita per trovare ciò che cerca.
Ma i criteri personali sono molti di più. Ad esempio alcune (molte) persone - fra cui il sottoscritto - non amano le pubblicità che "coprono" o nascondono temporaneamente i contenuti. Allo stesso modo gli articoli che ci mettono diversi paragrafi per arrivare al punto, ovvero quello che mi interessa, sono ugualmente irritanti.
Lo stesso di potrebbe dire delle pubblicità che sono "mascherate" da contenuti, con lo stesso stile e colori del sito che le ospita, oppure delle pagine con tonnellate di advertising o, ancora, dei risultati di ricerca che provengono dal mondo social.
Quest'ultimi, le cosiddette "My Answers" di Google in arrivo in questi giorni in Italia, sono informazioni troppo legate ad esperienze personali per essere considerate "fatti" e, dunque, potenzialmente irrilevanti per un utente.
Anche se provengono dalla sue cerchie di Google+.
Se guardiamo la rete oggi come oggi, poi, appare chiaro che le persone optano sempre più spesso per i contenuti corti. E per corti intendo diretti.
Io cerco così, i miei amici cercano così, i miei colleghi cercano così, perché si ottiene quello che si vuole e in fretta. Spesso non clicco nemmeno su un contenuto se i dati mostrati nella SERP soddisfano già le mie necessità.
Twitter con i suoi "cinguettii" è un altro esempio di questa tendenza: corto, veloce e dritto al punto.
Credo dunque che contenuti più snelli siano più appaganti ma Google sembra pensare esattamente l'opposto. Il che si scontra con il mantra di "mettere l'utente al centro del motore".
Se le persone vogliono subito quello che stanno cercando perché proporgli articoli spesso troppo lunghi?
Inoltre spesso è impossibile creare contenuti che siano di ampio interesse su dati argomenti. L'articolo "definitivo" sulla SEO esiste? Esisterà mai?
Google stesso, però, non sempre ci mostra pagine web esaurienti ai primi posti delle SERP e la cosa crea altra confusione. Il vedere contenuti "corti" ai primi posti dei risultait potrebbe dipendere in egual misura dal lettore e dall'argomento.
Chi vuole sapere qual'è la capitale della Nigeria, ad esempio, cercherà con un diverso livello di profondità rispetto a chi è a caccia di recensioni su un auto o sta decidendo di effettuare un acquisto importante.
Dunque, perché Google dice di aspirare sempre alla qualità quando nella SERP spesso e volentieri appaiono contenuti "corti" e "mono-argomento"? Se la lunghezza è un fattore per l'indicizzazione (e non lo sappiamo con certezza) potrebbero anche esistere fattori anche più importanti per l'algoritmo di Google (l'età del dominio, la sua storia, il suo profilo di link e molti altri).
Questa potrebbe essere la ragione per l'occasionale incoerenza dei risultati di ricerca di Google.
La risposta alla domanda "qualità VS quantità" qual'è? Probabilmente - azzardo mio - è nella personalizzazione. In un futuro nemmeno troppo lontano, infatti, Google potrebbe capire che preferisco articoli completi e regolare la sua SERP di conseguenza.
Altre persone che preferiscono contenuti più stringati e diretti, allo stesso modo, potrebbero ricevere risultati personalizzati secondo le loro esigenze.
In sostanza, anche se può apparire banale, l'approccio migliore alla creazione di contenuti destinati al web potrebbe essere quello di mettersi nei panni dei lettore. Non a livello generale ma a livello di singolo articolo: a che esigenze risponde il mio pezzo? Chi potrebbe cercarlo? Per che tipo di ricerche?
Queste e altri tipi di domande potrebbero aiutarvi a scrivere pezzi migliori. Per le persone, non per i motori.
Che poi è quello che consiglia anche Google.